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L’art. 2087 c.c. obbliga il datore di lavoro ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Si tratta evidentemente di una norma di contenuto aperto del sistema di sicurezza, in quanto volta a ricomprendere anche i casi non previsti ed avente la funzione di adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà socio-economica e ad imporre al datore di lavoro le relative misure di sicurezza da adottare.

Dal dettato civilistico è possibile evincere, in capo del datore di lavoro, il cosiddetto “debito di sicurezza”, caratterizzato da 3 elementi essenziali:

  1. La particolarità, intesa come complesso dei rischi e pericoli che caratterizzano una determinata attività lavorativa.
  2. L’esperienza, ovvero la conoscenza delle misure e dei rimedi preventivi che sono idonei a prevenire danni ai lavoratori.
  3. La tecnica, intesa come conoscenza di misure e rimedi preventivi necessari per quella particolare lavorazione e pericolosità dell’ambiente di lavoro.

In altre parole, il datore di lavoro deve adottare e garantire il massimo grado di protezione possibile sulla base dei progressi scientifici e tecnologici.

Tra gli obblighi del datore di lavoro c’è dunque quello di assicurare al lavoratore condizioni di lavoro idonee sotto il profilo della sicurezza e dell’igiene.

In tal senso, il principale riferimento legislativo di contenuto, aldilà della generica norma civilistica, è costituito indubbiamente dal D.Lgs. 81/2008, meglio conosciuto come Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro, le cui disposizioni si applicano a tutti i settori di attività e a tutte le tipologie di rischio.

Il TU introduce e soprattutto porta a sistema una serie di concetti, primo fra i quali quello della prevenzione, definita all’art. 2 come il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno.

In termini di processo, la prevenzione si articola, sul piano logico, in 2 fasi:

  1. Analisi dei rischi.
  2. Predisposizione delle misure per prevenirli.

Primariamente deve essere dunque effettuata una valutazione dei rischi, ad opera del datore di lavoro.

Essa avviene in collaborazione con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e col medico competente, previa consultazione del Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).

Come si può desumere da quanto sopra, l’introduzione di nuovi soggetti istituzionalmente preposti alla gestione della sicurezza sul luogo di lavoro costituisce un’altra importante novità rispetto al passato.

Tornando all’analisi dei rischi, il risultato della stessa è il Documento di Valutazione dei rischi (DVR), che il datore di lavoro deve predisporre (non delegabile).

Il DVR deve essere aggiornato periodicamente.

In caso di esternalizzazione di alcuni servizi tramite appalto o utilizzo di professionisti esterni, deve essere redatto il Documento di valutazione di rischi di interferenze (DUVRI), da allegare all’eventuale contratto di appalto.

Il datore di lavoro è altresì tenuto alla redazione di piani di emergenza che prevedano misure di controllo di situazioni di rischio in caso di emergenza e di istruzioni, affinchè i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed evitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa.

In caso di aziende con più di 15 dipendenti, il datore di lavoro deve indire almeno una volta l’anno una riunione che si conclude con apposito verbale da conservare per sua consultazione.

Ad ogni modo, se da una parte il datore di lavoro è soggetto a responsabilità civile ex art. 2087 c.c. in merito alla tutela dell’integrità psicofisica dei dipendenti, in particolar modo tramite l’adozione e il mantenimento in efficienza di presidi antinfortunistici atti a preservare i lavoratori dai rischi connessi alle varie fasi dell’attività lavorativa, risulta altrettanto innegabile che, laddove sussista una delega formale a dirigenti e preposti, essa non escluda l’obbligo di vigilanza, in capo al datore di lavoro stesso, in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

In quest’ultimo caso la giurisprudenza prevalente è concorde nel parlare di responsabilità oggettiva in capo al datore di lavoro.

Un altro corpus di norme che interessa fortemente la materia della sicurezza è il DPR 1124/1965, meglio conosciuto come Testo Unico sull’Assicurazione degli Infortuni sul Lavoro. Di grande rilevanza, in questo senso, è l’art. 10 del TU stesso, in quanto, a proposito di quanto sopra indicato, dispone che l’assicurazione obbligatoria INAIL di fatto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.

Si può dunque affermare che il datore di lavoro non risponde dei fatti che hanno determinato l’infortunio, fatta salva la responsabilità penale a seguito di condanna per i fatti da cui è derivato l’infortunio. Come infatti indica l’art. 437 c.p., chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione. In questo caso permane dunque la responsabilità civile in capo al datore di lavoro.

Va da sé che lo stesso sia civilmente responsabile anche qualora in cui il comportamento omissivo di cui sopra, oggetto di condanna penale, venga posto in essere dal preposto alla direzione o sorveglianza del lavoro, nel qual caso si configura, in capo al datore di lavoro, la responsabilità oggettiva ex art. 2049 c.c.

Centro Studi Susini Group S.t.P

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