L’omesso versamento delle ritenute IRPEF operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti può configurare un reato penale se l’importo non versato supera determinate soglie. In base all’articolo 10-bis del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, ritenute dovute per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta.
Tuttavia, recenti modifiche normative hanno introdotto ulteriori condizioni. In particolare, la rilevanza penale della condotta è subordinata al fatto che il debito tributario non sia in corso di estinzione mediante pagamenti rateali ai sensi dell’art. 3-bis del D.Lgs. 462/97; inoltre, l’eventuale decadenza dal piano di rateazione per il mancato versamento di una o più rate non determina conseguenze penali qualora il debito residuo sia inferiore a 50.000 euro per le ritenute IRPEF.
Pertanto, l’omesso versamento delle ritenute IRPEF diventa penalmente rilevante se l’importo non versato supera la soglia di 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta. Tuttavia, se il debito residuo, dopo eventuali rateazioni, è inferiore a 50.000 euro, non si configurano conseguenze penali.
L’omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti è disciplinato dall’articolo 2, comma 1-bis, del Decreto-Legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 1983, n. 638. Tale norma prevede che:
• Se l’importo omesso supera i 10.000 euro annui, il datore di lavoro è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032 euro.
• Se l’importo omesso è pari o inferiore a 10.000 euro annui, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria. Inizialmente, questa sanzione variava da 10.000 a 50.000 euro. Tuttavia, con l’entrata in vigore del Decreto-Legge 4 maggio 2023, n. 48 (cosiddetto “Decreto Lavoro”), convertito con modificazioni dalla Legge 3 luglio 2023, n. 85, la sanzione è stata modificata e ora varia da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso.
È importante sottolineare che il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, se provvede al versamento delle ritenute omesse entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
L’omesso versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro, ossia la quota di contributi dovuta dall’azienda (e non trattenuta dalla retribuzione del dipendente), non costituisce reato penale, ma è soggetto esclusivamente a sanzioni amministrative.
Infatti, la normativa vigente punisce penalmente solo l’omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sui lavoratori, ovvero la parte dei contributi a carico del dipendente che il datore di lavoro trattiene dalla busta paga.
Per quanto riguarda i contributi a carico dell’azienda, in caso di mancato pagamento, l’INPS procede con:
• Sanzioni civili, con l’applicazione di interessi di mora e sanzioni pecuniarie.
• Azioni esecutive, come il recupero coattivo delle somme dovute tramite cartelle esattoriali.
• Possibile iscrizione a ruolo per il recupero del credito previdenziale.
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