Categories:

Normativa di riferimento:

Articolo 46 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

Articolo 80 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.

Articolo 14 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126.

Articolo 1, commi 309, 310 e 311, della legge 30 dicembre 2020, n. 178.

Le gravi ricadute sull’economia dell’epidemia da coronavirus e l’intento di evitare possibili licenziamenti “di massa” hanno indotto il Governo a introdurre specifiche disposizioni in materia di licenziamento (non solo per giustificato motivo oggettivo, ma anche collettivo).

Ne consegue che fino al 31.3.2021 il datore non può recedere dal contratto di lavoro per tali ragioni

  1. INTERRUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO A SEGUITO DI ACCORDO COLLETTIVO AZIENDALE

Le preclusioni e le sospensioni al divieto di licenziamento non si applicano nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo” e che “a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento relativo all’indennità di Naspi.

L’interruzione del rapporto di lavoro, quindi, interviene a seguito di una risoluzione consensuale stipulata secondo le modalità espressamente previste dalla norma, ossia tramite accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (non anche con accordi territoriali o nazionali) di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro; l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro si produce soltanto per i lavoratori che aderiscono al citato accordo e secondo le modalità previste dallo stesso.

A decorrere dal 15 agosto 2020, le interruzioni di rapporto di lavoro intervenute con tale modalità devono essere esposte all’interno del flusso Uniemens con il nuovo codice Tipo cessazione “2A”, avente il significato di: “Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro”.

I datori di lavoro che abbiano utilizzato un codice Tipo cessazione diverso da quello sopra indicato, dovranno procedere alle necessarie correzioni, secondo le consuete modalità.

A seguito della cessazione del rapporto di lavoro, il datore è tenuto al versamento del c.d. ticket di licenziamento.

Il contributo, interamente a carico del datore di lavoro, deve essere versato in unica soluzione entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro.

Per quanto attiene alle cessazioni intervenute precedentemente alla pubblicazione del presente messaggio, il datore di lavoro è tenuto all’assolvimento dell’obbligo contributivo in argomento entro e non oltre il termine di versamento della denuncia del mese di marzo 2021, senza applicazione di ulteriori oneri.

Le disposizioni normative sopra richiamate prevedono inoltre che sono escluse dal divieto di licenziamento, oltre alla fattispecie sopra esaminata, anche le seguenti ipotesi:

  • personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto;
  • licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c.;
  • licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
  1. REVOCA DEL LICENZIAMENTO

Il datore di lavoro poteva revocare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ai sensi del comma 4 dell’articolo 14 del D.L. n. 104/2020, già intimati alla data di entrata in vigore della norma o intimati nel corso dell’anno 2020, a condizione che lo stesso inoltrasse contestualmente richiesta di trattamento di integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22-quinques del D.L. n. 18/2020, con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento revocato.

La legge n. 126/2020, di conversione in legge del decreto, entrata in vigore il 14 ottobre 2020, ha abrogato il citato comma 4. La revoca dei licenziamenti è quindi stata possibile dal 15 agosto 2020 al 13 ottobre 2020.

A seguito della revoca del licenziamento il rapporto di lavoro è ripristinato senza soluzione di continuità e il lavoratore beneficia del trattamento di integrazione salariale.

Il rapporto di lavoro deve considerarsi sospeso per il periodo che intercorre tra la data del licenziamento e la data della sua revoca e per tutta la durata dell’integrazione salariale, al termine della quale decorrono nuovamente gli obblighi contributivi in capo al datore di lavoro.

Si ricorda, tuttavia, che durante i periodi di integrazione salariale ordinaria o in deroga ovvero di assegno ordinario, le quote di TFR maturate restano a carico del datore di lavoro.

I datori di lavoro soggetti alla disciplina del Fondo di Tesoreria, pertanto, devono versare al predetto Fondo le quote di TFR maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale (cfr. la circolare n. 70/2007 e, da ultimo, il messaggio n. 1775/2020).

Tenuto conto che, per espressa disposizione normativa, alla revoca del licenziamento ai sensi dell’articolo 14, comma 4, del D.L. n. 104/2020, si applica una disciplina in deroga a quella ordinaria (prevista dall’art. 18, comma 10, della legge n. 300/1970) e che il legislatore ha precisato che “il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro”, il datore di lavoro tenuto a versare al Fondo di Tesoreria la contribuzione afferente ai periodi pregressi (ossia le quote di TFR maturate dalla data del licenziamento alla data del ripristino del rapporto di lavoro e incrementate della rivalutazione ai sensi dell’articolo 2120 c.c.) è esonerato dal versamento degli oneri aggiuntivi.

I datori di lavoro che non abbiano adempiuto al suddetto obbligo sono tenuti al versamento delle quote di TFR – maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale richiesto ai sensi del comma 4 dell’articolo 14 del D.L. n. 104/2020 – entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella di pubblicazione del presente messaggio, senza applicazione di ulteriori oneri.

A seguito della revoca, viene meno l’obbligo del datore di lavoro di versamento del c.d. ticket di licenziamento. Pertanto, i datori di lavoro che hanno assolto l’obbligo di versamento, in conseguenza dell’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avranno diritto al recupero dell’importo versato.

Per il recupero del c.d. ticket di licenziamento eventualmente versato, i datori di lavoro dovranno avvalersi della procedura delle regolarizzazioni (Uniemens/vig) secondo le consuete modalità.

Tags:

Comments are closed

Vuoi ricevere le nostre utilissime notizie?
Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.
Riempi per il consenso a ricevere le nostre news
Normativa Privacy

Acconsento al trattamento dei miei dati, secondo quanto disposto dal regolamento UE 2016/679. Privacy Policy