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Come illustrato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella Nota 9943-2019, un tema di assoluta rilevanza, trattato a più riprese in sede giurisprudenziale, concerne la distinzione fra crediti retributivi dei lavoratori e crediti contributivi degli Istituti Previdenziali, al fine di individuare i termini per l’esercizio delle relative azioni.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14700 del 26/05/2021, è recentemente intervenuta con una modifica sostanziale rispetto al recente orientamento giurisprudenziale, escludendo l’applicabilità del termine decadenziale di 2 anni alle pretese creditorie previdenziali azionabili nei confronti del committente responsabile in solido, così come previsto dal co.2 dell’art. 29 D.Lgs. 276/2003.

La disposizione normativa appena citata trova pertanto applicazione esclusivamente in riferimento all’azione esperita dal lavoratore, e quindi in merito ai soli crediti retributivi, mentre l’Ente Previdenziale deve essere assoggettato al solo termine di prescrizione della pretesa contributiva: il rapporto di lavoro e quello previdenziale sono sì connessi, ma distinti, considerando che l’obbligazione contributiva, a differenza di quella retributiva, deriva dalla legge, ha natura pubblicistica ed è pertanto indisponibile.

L’ordinanza n. 14700 spiega infatti che la peculiarità dell’oggetto dell’obbligazione previdenziale coincide con il concetto di “minimale contributivo”, il quale è strutturato dalla legge in modo imperativo. Da qui la considerazione sistematica in merito all’indisponibilità dell’obbligazione contributiva.

Il termine di prescrizione della pretesa contributiva, diversamente da quella retributiva, varia pertanto da 10 a 5 anni a seconda che il lavoratore interessato (o i superstiti) presenti o meno denuncia di omissione contributiva, così come previsto dal co.9 dell’art.3 L. 335/1995.

                                                                                                                               Susini Group Stp

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