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Con un decreto del 26 giugno 2020 emesso dal Tribunale di Mantova e con una sentenza n. 1069/2020 del Tribunale di Venezia si sono avute due interpretazioni giurisprudenziali in merito allo Smart Working.

La prima ha rigettato l’istanza di un dipendente che aveva richiesto la prestazione in smart-working dietro il diniego da parte del datore di lavoro.

I giudici hanno confermato la decisione del datore di lavoro sulla scorta dei seguenti presupposti:

  • la disposizione prevede che tale possibilità si coniughi con le caratteristiche della prestazione professionale che la consentano. Nel caso di specie, le mansioni svolte dal lavoratore richiedono una sua presenza in azienda in quanto incontra, continuamente, i referenti tecnici dei committenti ed è responsabile della sicurezza dei lavoratori. Il lavoratore svolge mansioni diversificate che risultano caratterizzarsi, quanto meno in misura rilevante se non prevalente, per la necessità della sua presenza fisica in azienda;
  • la moglie svolge con regolarità la propria prestazione lavorativa in smart-working presso il proprio domicilio di residenza, ove vive con la figlia ed il marito.

La sentenza del Tribunale di Venezia ha, invece, negato la possibilità del riconoscimento del buono pasto ai lavoratori in Smart Working.

I punti su cui poggia la decisione del Tribunale sono i seguenti:

  • il lavoratore agile non ha un orario predefinito: di conseguenza, viene meno il presupposto che il buono possa essere usato fuori dall’orario di lavoro;
  • il buono pasto, secondo la Cassazione (Cass. n. 31137/2019), rappresenta un benefit e non un elemento della retribuzione.

 

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